+39 06.68805806 info@museodellashoah.it

1938 Le leggi antiebraiche dell’Italia fascista

di Sara Berger e Marcello Pezzetti

Opinione pubblica

La maggioranza della popolazione italiana non ebraica, ormai definita di “razza ariana”, approvò o si adeguò all’antisemitismo di stato mostrando un’opportunistica indifferenza nei confronti della tragica sorte dei loro concittadini “della porta accanto” (i deputati “ariani” approvarono le leggi all’unanimità; i senatori “ariani” espressero 154 sì e 10 no).

Non pochi approfittarono della scomparsa degli ebrei dalle università, dalla pubblica amministrazione, dalle libere professioni e dal grande settore del commercio. Studenti e giovani intellettuali furono tra i maggiori sostenitori e divulgatori dell’antisemitismo e del razzismo e la stampa di regime osannò la persecuzione.

Nel dicembre del 1938 in tutto il paese venne messa in scena, con il supporto della stampa nazionale, un’azione di “boicottaggio” delle attività economiche ebraiche con l’affissione di cartelli con scritte antisemite quali “gli ebrei non sono graditi”, “negozio ariano”, ecc.

Nei mesi di settembre e ottobre del 1941 una minoranza radicale del partito fascista attivò violente aggressioni contro le sinagoghe a Ferrara, Torino, Casale Monferrato e Trieste, quando non contro i singoli. Nel giugno del 1942 fu estremamente brutale l’assalto alla sinagoga di Spalato, allora italiana.

Si diffuse in modo consistente anche l’odioso fenomeno delle denunce.

Solo pochi, come il filosofo Benedetto Croce, il direttore d’orchestra Arturo Toscanini o Ernesta Bittanti, vedova dell’irredentista Cesare Battisti, manifestarono pubblicamente, in maniera sottile o in privato, la loro protesta nei confronti dell’antisemitismo di Stato (del resto nella dittatura fascista ormai consolidata ciò comportava seri rischi).

La stessa Chiesa si limitò a protestare contro il divieto dei matrimoni “razzialmente misti” e per la persecuzione dei battezzati.

Gli ebrei, del tutto esclusi dalla società italiana, vennero progressivamente abbandonati al loro tragico destino di persecuzione.

01 Padova

01 Padova

Padova, 19 dicembre 1938. La Prefettura della città segnala alla Direzione generale della Pubblica Sicurezza "segni di pietismo" nei confronti degli ebrei. Nonostante ciò, le disposizioni antiebraiche non vengono trasgredite. Archivio Centrale dello Stato, Roma

02 Vaticano

02 Vaticano

7 ottobre 1938. L’ambasciata italiana presso il Vaticano riferisce la posizione della Santa Sede di fronte alla "dichiarazione sulla razza". L’unico rilievo critico è la "preoccupazione" per le disposizioni relative ai matrimoni misti e agli ebrei convertiti al...

03 Protestanti

03 Protestanti

Roma, settembre 1938. Un "gruppo di Protestanti romani" dichiara la propria solidarietà ai "fratelli Israeliti d’Italia". Centro bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Roma

04 Bittanti (1) (2)

04 Bittanti (1) (2)

Milano, febbraio del 1939. Ernesta Bittanti (1871-1957), moglie dell’irredentista Cesare Battisti, compie un gesto coraggioso pubblicando sul Corriere della Sera un annuncio – in parte censurato – per la morte dell’ingegner Augusto Morpurgo. Lo fa presente nel suo...

04 Bittanti (3)

04 Bittanti (3)

Ernesta Bittanti Battisti allo scrittoio, 1938. Archivio del Museo storico in Trentino, Trento

04 Trieste

04 Trieste

Trieste, settembre 1938. Uno sconosciuto denuncia l’impiegato delle tramvie municipali Ignazio Isidoro Baroncelli (già Grünhut), perché presunto ebreo. La Prefettura indaga ed evidenzia che la denuncia prende di mira un fervente irredentista, nato a Trieste nel 1896...

06 Roma ambulanti

06 Roma ambulanti

Roma, gennaio 1941. Ambulanti "ariani" non vogliono al loro fianco "colleghi ebrei". Archivio Centrale dello Stato, Roma

07 Roma

07 Roma

Roma, novembre 1941. In una lettera anonima a Mussolini vengono proposte misure antiebraiche simili a quelle in vigore nella Germania nazista. Archivio Centrale dello Stato, Roma

08a Torino

08a Torino

Torino, novembre 1939. Uno sconosciuto sospetta che alcuni ebrei della città, fra cui l’ex editore socialista Arrigo Bonfiglioli (nato a Ferrara nel 1887), abbiano avuto a che fare con l’attentato di Georg Elser ad Adolf Hitler, l’8 novembre 1939. Archivio Centrale...

08b Torino

08b Torino

Foto di Arrigo Bonfiglioli, dal Casellario Politico Centrale. Archivio Centrale dello Stato, Roma

09 Trieste Castiglioni

09 Trieste Castiglioni

Trieste, novembre 1938. Mameli Castiglioni, proprietario non ebreo di alcuni negozi, fa pubblicare un annuncio sul principale quotidiano della città per manifestare pubblicamente la sua "arianità". Il Piccolo, 20 novembre 1938. Archivio di Stato, Trieste

10 Milano Il Regime Fascista

10 Milano Il Regime Fascista

Milano, dicembre 1938. Tipici manifesti antisemiti. Il Regime Fascista, 18 dicembre 1938. Biblioteca del Senato della Repubblica Giovanni Spadolini, Roma

11 Milano Il messaggero

11 Milano Il messaggero

Milano, dicembre 1938. Il Messaggero pubblica la foto dello stesso "negozio ariano" de Il Regime Fascista. Il Messaggero, 16 dicembre 1938. Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma

12 Corriere della sera

12 Corriere della sera

Milano, dicembre 1938. Affissione di un manifesto antisemita. Corriere della Sera, 17 dicembre 1938. Biblioteca del Senato della Repubblica Giovanni Spadolini, Roma

13 Milano Il popolo d’Italia

13 Milano Il popolo d’Italia

Milano, centro, dicembre 1938. Affissione di scritte antisemite. Il Popolo d’Italia, 14 dicembre 1938. Biblioteca di storia moderna e contemporanea, Roma

14 Firenze la nazione

14 Firenze la nazione

Firenze, dicembre 1938. Negozio con la scritta: "È proibito l’ingresso agli ebrei". La Nazione, dicembre 1938. Biblioteca del Senato della Repubblica Giovanni Spadolini, Roma

15 Roma Il Resto del Carlino,

15 Roma Il Resto del Carlino,

Roma, dicembre 1938. Affissione di scritte antisemite. Il Resto del Carlino, 17 dicembre 1938. Biblioteca del Senato della Repubblica Giovanni Spadolini, Roma

16 Bologna Il Resto del Carlino,

16 Bologna Il Resto del Carlino,

Bologna, dicembre 1938. Affissione di scritte antisemite. Il Resto del Carlino, 28 dicembre 1938. Biblioteca del Senato della Repubblica Giovanni Spadolini, Roma

17 Il Popolo di Trieste

17 Il Popolo di Trieste

Trieste, dicembre 1938. Notizie su scritte antisemite comparse in città. Il Popolo di Trieste, 17 dicembre 1938. Biblioteca Civica "A. Hortis", Trieste

18 Trieste Il Piccolo

18 Trieste Il Piccolo

Trieste, Volti di Chiozza 1, dicembre 1938. Si invitano gli ebrei a non entrare nel Caffè-Bar "Portici". Le ultime notizie. Il Piccolo delle ore diciotto, 21 dicembre 1938. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

19 Il Popolo di Roma

19 Il Popolo di Roma

Roma, dicembre 1938. Negozio con la scritta: "Attenzione. È vietato l’ingresso agli ebrei". Il Popolo di Roma, 15 dicembre 1938. Biblioteca Civica "A. Hortis", Trieste

20 Torino La Stampa

20 Torino La Stampa

Torino, dicembre 1938. Una libreria pubblicizza la presunta "arianità" dei suoi dipendenti. La Stampa, 18 dicembre 1938. Biblioteca del Senato della Repubblica Giovanni Spadolini, Roma

21 Comune di Torino

21 Comune di Torino

Torino, 1938 circa. Locale con scritta antisemita. Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea "Giorgio Agosti" (Istoreto), Torino

22 Scritte Venezia

22 Scritte Venezia

Venezia, marzo 1940. La Prefettura segnala l’affissione di manifesti antisemiti in città. Archivio Centrale dello Stato, Roma

23 Bergamo

23 Bergamo

Bergamo, negozi di abbigliamento Sacerdote. "Giudeo lebbroso" e altre scritte antisemite. Collezione famiglia Sacerdote, Bergamo / Fondazione Bergamo nella storia

24 Negozio ebreo

24 Negozio ebreo

Trieste, "Chiuso per sempre negozio ebreo". Scritte sulla vetrina di un negozio in Corso Vittorio Emanuele III, 24 (oggi Corso Italia). Si tratta del negozio di tessuti e confezioni, con annessa sartoria, di Giacomo Zitrin. Il negozio viene chiuso nel 1940. Fondazione...

25 Manifesti Roma

25 Manifesti Roma

Roma, luglio 1941. Volantino antisemita, intitolato "Abbasso gli ebrei", distribuito nella capitale. Archivio Centrale dello Stato, Roma

26 Aldo Gay

26 Aldo Gay

Roma, anni ’40. Il pittore Aldo Gay disegna le aggressioni subite da parte di antisemiti al Portico d’Ottavia (1940) e in via Appia (19 luglio 1943). Collezione famiglia Gai, Roma

27 Trieste

27 Trieste

Trieste, 19 ottobre 1941. La Legione territoriale carabinieri reali descrive le devastazioni antiebraiche compiute da circa 80 fascisti in un comunicato per il ministero dell’Interno. Archivio Centrale dello Stato, Roma

28 Trieste 1941

28 Trieste 1941

Trieste, ottobre 1941. La Sinagoga imbrattata da squadre fasciste. Archivio fotografico dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste

29 Trieste 1942

29 Trieste 1942

Trieste, luglio 1942. L’interno della Sinagoga devastata dai fascisti. Archivio fotografico dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, Trieste

30 Ferrara

30 Ferrara

Ferrara, settembre 1941. Il Tempio di rito spagnolo devastato dai fascisti. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

21 settembre 1938. La protesta del filosofo Benedetto Croce relativa al censimento degli ebrei nelle accademie e nelle istituzioni culturali.

Gentilissimo collega, ricevo oggi qui il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l’avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo. Ha senso di domandare a un uomo che ha circa sessant’anni di attività letteraria e ha partecipato alla vita pubblica del suo paese, dove e quando esso sia nato e altre simili cose? L’unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me che ho per cognome CROCE, all’atto odioso e ridicolo insieme di protestare che non sono ebreo proprio quando questa gente è perseguitata.[1]

 

La sopravvissuta di Auschwitz Goti Herskovits ricorda la reazione dei non ebrei di Fiume alla promulgazione della legislazione antiebraica.

Avevo una compagna di banco con cui ero stata amica per molti anni. Credo che lei abbia sofferto a non salutarmi più, ma sono sicura che è stato il padre a convincerla, un maestro fascista. Comunque i comportamenti son stati molto vari. Abbiamo avuto delle dimostrazioni di grande solidarietà da parte di molti, e nello stesso tempo abbiamo avuto anche delle grandi delusioni, perchè gente che consideravo amica da un giorno all’altro ci ha tolto il saluto, non credo per antipatia, ma piuttosto per opportunismo. Comunque le leggi antiebraiche son state accettate, nessuno s’è mosso. Ci furono anche situazioni grottesche: noi avevamo un medico, il dottor Herzog, ebreo, e ai medici ebrei è stato vietato di avere clientela non ebraica. A un certo punto gli entra una signora sconosciuta; lui la guarda e le fa: “Signora, lei è ariana?” E lei: “No, son di Capodistria!”[2]

Mirjam Viterbi Ben Horin descrive nelle sue memorie le violente manifestazioni antisemite avvenute a Padova.

Io avvertivo nell’aria una preoccupazione crescente ma non ne sapevo il perché. Gli amici si diradavano. I colleghi di mio padre cominciarono a non venire più a casa, a svicolare quando lo incontravano per strada, per non sentirsi imbarazzati, e ad ignorarlo se lo vedevano a un concerto; avevano paura di compromettere se stessi e soprattutto la loro posizione accademica. […] Io sentivo questi cambiamenti nella nostra vita senza pormi domande particolari, ma vivendoli come qualcosa che ci era quasi naturalmente piombato addosso “perché eravamo ebrei”. […]

Non ricordo bene in che anno, ma certamente non molto tempo dopo l’inizio delle leggi razziali, accadde qualcosa che mi turbò molto profondamente. Sull’ingresso della nostra casa furono dipinti con vernice rossa una stella di David e un grande impiccato, di dimensioni reali. Anche i battenti del portone erano stati imbrattati di vernice rossa e sgocciolavano giù, nel sottoportico, come se grondassero sangue. L’impiccato venne cancellato alla meno peggio con una mano di calce, ma il papà decise che il “Maghen David” doveva rimanere. Ciò che rimase fu anche una larga chiazza rossa sulla pietra del lastricato, davanti al portone, dove era caduta la vernice. Ed io ricordo che, nell’entrare e nell’uscire di casa, stavo molto attenta a non camminarci sopra – anche se ormai era asciutta – perché mi faceva orrore e paura. Sapevo molto bene ciò che voleva significare. […]

Il 14 Maggio 1943 la grande Sinagoga fu distrutta da un incendio, per mano dei fascisti. Ma le fiamme si arrestarono davanti all’Aron ha Kodesh dove erano racchiusi i rotoli della Torah, che poterono così essere messi in salvo. Qualcuno venne ad annunciarcelo a casa, all’alba, quando fuori era ancora buio e la scampanellata aveva il suono della catastrofe imminente. Io ero smarrita. Quella Sinagoga, la mia Sinagoga, era per me la ‘Casa del Signore’; ma ora che era stata distrutta la sua casa, dov’era, dove abitava il Signore?”[3]

Massimo Ottolenghi commenta la situazione degli ebrei a Torino dopo l’emanazione delle leggi antiebraiche.

L’imperdonabile colpa del sangue non la capiva nessuno, ma l’imbarazzo veniva superato con facilità. Nessuno fece resistenza. Tacquero tutti, accademici, professori, scienziati, intellettuali, preti e i cittadini più in vista. Era cominciata la caccia ai posti lasciati liberi dagli ebrei nelle università, nelle scuole, negli ospedali, nell’amministrazione pubblica, nell’esercito, nelle accademie, nei giornali, nelle banche e negli istituti di cultura, nelle case editrici, negli studi professionali, cui nessuno si sottraeva. Molti cominciarono ad acquistare o intestarsi attività ebraiche, promettendo di restituirle. Talvolta mossi da amicizia rispettarono l’impegno, altre volte ne approfittarono. Funzionari e gerarchi del partito iniziarono il commercio di certificati di arianità, falsi attestati, alberi genealogici fasulli, cattolicità posticce. Per ora l’importante era l’apparenza, ma con la tolleranza per il diverso cominciava a nascere la diffidenza.
Cadevano frequentazioni e vecchie amicizie. Si scoprivano per altro inaspettate e coraggiose generosità, specie nel popolo. In molti locali del centro erano già apparsi i cartelli con il divieto di accesso agli ebrei.  […] Manifesti sotto i segni congiunti di svastica e fascio, affissi ovunque, a imbrattare ogni muro, che urlavano odio per la città. Parole rapprese alle pareti, rimandata dalle volte, incitavano al pogrom. Un urlo che si ripeteva di colonna in colonna, senza scampo, lungo tutti i portici del centro, arcata per arcata, di palazzo in palazzo, dal rettorato dell’università di via Po per ogni via.[4]

Eugenio Sermoneta di Auschwitz racconta dell’atteggiamento degli amici non ebrei:

Uno dei miei cari amici mi insultò in spiaggia. Mi disse: “Fanno bene a distruggervi a voi giudei!” E io feci una grande scazzottata. Poi una persona saggia ci chiamò, ci parlò, diventammo amici per la pelle e siamo rimasti sempre amici per la pelle. Le leggi razziali… io pensavo proprio che fosse una buffonata, una cosa che passava. Io che avevo fatto di male? Io ero ebreo, ma che significa? Non ci credevo, e tanti come me non ci hanno creduto. E poi io ero stato fascista fino al giorno avanti…[5]

Nel suo quaderno-diario scritto a Tel Aviv il 9 luglio 1939, Ettore Finzi riflette sulla situazione in Italia.

Quando quattro mesi fa lasciai l’Italia più per lo schifo che sentivo al calcare quel suolo che per un imminente pericolo, molti miei colleghi ed amici affrettarono ad esternarmi il loro dispiacere per quanto avveniva. Sentivo i loro discorsi che sapevano di condoglianze e che finivano per irritarmi soltanto. Erano discorsi fatti sotto voce, in camera caritatis, soltanto perché mi conoscevano e mi stimavano. […] Per molti di essi, ad esempio, la persecuzione contro gli ebrei non nati in Italia poteva essere anche giusta, perché, si capisce, erano venuti nel paese a far fortuna alle spalle degli altri, erano di idee politiche un po’ sospette, ecc. Si riconosceva in generale al Governo Fascista il diritto di perseguitare della gente che esso aveva lasciato entrare nel paese, che aveva finora favorito. Si accorgevano soltanto allora che quelli erano pericolosi per lo Stato, per la purezza della razza italiana, per il fascismo. Prima no, prima erano i benvenuti; ma ore che il padrone Hitler ordinava di ritenerli pericolosi, il Governo Fascista la loro cacciata. Loro non capivano ancora cosa si nascondeva dietro il paravento razzista, non capivano cosa volesse dire, cosa volesse significare per l’eternità, per la storia che l’Italia era diventata un paese razzista. […] La persecuzione contro gli ebrei in Italia non è che uno dei tanti atti del Governo che sta rovinando il paese. […] L’Italia anti ebraica, l’Italia razzista vuol dire Italia in mano ai tedeschi, Italia venduta. E questo non l’hanno capito gli italiani, no assolutamente, o almeno non hanno avuto il coraggio di riconoscerlo. […] Si son visti i cartelli fuori dei caffè “Qui non sono graditi gli ebrei”, si sono visti fuori dei negozi i cartelli “Negozio ariano”, si è visto tutto come in Germania, copiato, eseguito a puntino.[6]

[1] Lettera pubblicata in Dalle leggi antiebraiche alla Shoah. Sette anni di storia italiana 1938-1945, a cura di Valeria Galimi ed altri, Milano, skira, 2004, p. 151.

[2] Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, Torino, Einaudi, 2009, p. 33.

[3] Mirjam Viterbi Ben Horin, Con gli occhi di allora. Una bambina ebrea e le leggi razziali, Brescia, Morcelliana, 2008, p. 11, 16.

[4] Massimo Ottolenghi, Per un pezzo di patria. La mia vita negli anni del fascismo e delle leggi razziali, Blu Edizioni, 2009, p. 77.

[5] Marcello Pezzetti, Il libro della Shoah italiana, Torino, Einaudi, 2009, p. 30.

[6] Ettore Finzi, Adelina Foà, Parole trasparenti. Diari e lettere 1939-1945, a cura di Daniele Finzi, Bologna, Il Mulino, 2013, pp. 28-29.

Naviga tra i capitoli della mostra

Capitolo successivo

Capitolo precedente

error: Content is protected !!