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1938 Le leggi antiebraiche dell’Italia fascista

di Sara Berger e Marcello Pezzetti

Reazione degli ebrei

La maggior parte degli ebrei colpiti dalle leggi inizialmente non comprese a fondo la gravità della svolta antisemita del fascismo. Essi si trovarono soli di fronte alla persecuzione.

Uno sforzo immenso fu quello di istituire un sistema scolastico alternativo a quello pubblico, in modo che migliaia di giovani non vedessero la loro formazione scolastica, quindi la loro vita futura, definitivamente compromessa. Gli ebrei italiani considerarono l’istruzione dei propri figli come uno degli impegni principali, quale difesa dalla persecuzione e quale riaffermazione di vitalità. Le Comunità più popolose istituirono con grande impegno scuole elementari e medie inferiori con risultati straordinari.

In generale, i dirigenti delle Comunità e dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane cercarono di lenire le dolorose conseguenze della normativa antiebraica, di fare una politica di piccoli passi senza poter esprimere proteste troppo virulente.

Tutte le persone colpite dalle leggi si sentirono tradite, e soprattutto sentirono tradito il proprio amore per la patria, per cui in tanti avevano combattuto. Quando, nel giugno del 1940, l’Italia entrò in guerra, molti ex-militari ebrei chiesero al re e a Mussolini di poter combattere, quindi di essere reintegrati nell’esercito, ma la proposta fu seccamente rifiutata.

La situazione generale precipitò nel giro di pochi mesi: i matrimoni tra ebrei si ridussero rapidamente da circa 200 annui nel 1935-1937 a 156 nel 1939 e a 116 nel 1940; terminarono completamente quelli “razzialmente” misti ufficiali e, a partire dal 1939, si verificò un crollo delle nascite. Alcuni cercarono di evitare la separazione dal resto della società attraverso il battesimo, che, tuttavia, non cambiò il loro “status razziale”. Migliaia di ebrei italiani e stranieri emigrarono negli Stati Uniti, nell’America del Sud e nell’allora Palestina. Le organizzazioni sioniste istituirono delle Haksharoth, dei centri di formazione al lavoro agricolo in preparazione all’emigrazione in terra d’Israele. Infine alcune decine di persone (quasi l’1 per mille dei perseguitati), schiacciate dalla situazione disastrosa che le stava travolgendo, non trovarono altra soluzione che il suicidio, talvolta ritenendolo la più estrema forma di protesta, come nel caso dell’editore Angelo Fortunato Formiggini.

Le istituzioni ebraiche dovettero fin da subito far fronte all’impoverimento dei loro membri, offrendo assistenza ai più deboli. Fra le organizzazioni che prestarono soccorso vi fu, fra il 1938 e il 1939, il Comitato di Assistenza per gli ebrei in Italia, e poi la Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei (Delasem), diretta da Lelio Vittorio Valobra, che gestì anche la “Villa Emma” a Nonantola (Modena), in cui trovarono ospitalità bambini e giovani ebrei stranieri rimasti soli. Un’altra organizzazione che si dedicò all’assistenza fu la “Mensa dei Bambini”, diretta da Israel Kalk.

 

 

01 Israel

01 Israel

Sul settimanale ebraico-sionista Israel si commentano più volte le misure antiebraiche. Il 21 luglio 1938, dopo la comparsa del "Manifesto della razza", viene espressa la speranza che il regime fascista non emani una legislazione antiebraica. Il settimanale verrà...

02 Unione al Duce

02 Unione al Duce

30 ottobre 1938. Il presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Federico Jarach (1874-1941), e il suo vice, Aldo Ascoli (1888-1970), si appellano a Mussolini nella speranza di ridurre gli effetti dei provvedimenti antiebraici. Centro bibliografico...

03 Unione Guerra

03 Unione Guerra

11 giugno 1940. A pochi giorni dall’entrata in guerra dell’Italia, il presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Dante Almansi (1877-1949), chiede a tutte le comunità di riaffermare il proprio patriottismo. Centro bibliografico dell’Unione delle...

04 Benedetti

04 Benedetti

Roma, 7 giugno 1942. Lionello De Benedetti, dopo l’ordine di "precettazione civile" degli ebrei, si dichiara orgoglioso di essere ebreo in una lettera al presidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, Dante Almansi. Centro bibliografico dell’Unione delle...

05 Venditori

05 Venditori

Milano, 17 dicembre 1940. Alcuni venditori ambulanti manifestano in una lettera a Mussolini la propria disperazione per il previsto ritiro delle licenze. Archivio Centrale dello Stato, Roma

06 Principi

06 Principi

Foligno, 7 aprile 1941. La piccola Annamaria Principi, nata nel 1932 a Trieste, "ebrea mista" battezzata nel dicembre del 1938, chiede a Mussolini di poter continuare a frequentare la scuola delle suore S. Giuseppe. Archivio Centrale dello Stato, Roma

08a Formiggini

08a Formiggini

L’editore Angelo Fortunato Formiggini (1878-1938) in una foto scattata tra il 1915 e il 1920. Per protestare contro la promulgazione delle leggi antiebraiche, Formiggini si toglie la vita a Modena il 29 novembre 1938. Fondazione Fotografia Modena, Fondo Giuseppe...

08b Formiggini

08b Formiggini

Genova, 1912-1916. Un’immagine della casa editrice A.F. Formiggini, la cui sede viene trasferita successivamente a Roma. Formiggini pubblica importanti opere, quali il dizionario "Chi è" e le collane "Profili" e "I classici del ridere". Archivio privato

09 Godelli

09 Godelli

Cevoli (Pisa), gennaio del 1940. Martino Godelli (1922-2014), di origine romena, ma cresciuto a Fiume, impara ad arare presso l’Hachsharah di San Marco, un centro dove si preparano i giovani ebrei perseguitati a emigrare in Palestina (Aliyah). Sopravvissuto ad...

10 Emigrazione (1)(2)

10 Emigrazione (1)(2)

Roma, 2 settembre 1938. Il rappresentante Renato Di Segni (1908-1974) osserva l’andamento della politica antiebraica e cerca di difendersi chiedendo aiuto a conoscenti all’estero, in questo caso a Norman Schureck, in Australia. Questi gli risponde un mese dopo...

10 Emigrazione (3)

10 Emigrazione (3)

Fiuggi, luglio 1942. Renato Di Segni insieme alla moglie Nora Lombroso (nata nel 1921) in attesa del figlio Fabio. Archivio privato Fabio Di Segni, Roma

11 Frida

11 Frida

Livorno, 1941. Il soprano livornese Frida Misul (1919-1992) continua a esibirsi anche dopo il divieto (1940) per gli ebrei di lavorare nel mondo dello spettacolo utilizzando lo pseudonimo di Frida Masoni. Sopravvissuta ad Auschwitz, sarà una delle prime donne a...

12 Comitato

12 Comitato

Statuto del Comitato di assistenza per gli ebrei in Italia, approvato il 15 novembre 1938. Il Comitato verrà sciolto nell’agosto del 1939. Archivio Ebraico Terracini, Torino

13 Comitato

13 Comitato

Milano, 1939. Un rappresentante del Comitato di Assistenza per gli ebrei in Italia si occupa di un ebreo che ha perso il posto di lavoro presso il Banco di Roma. Courtesy of the American Jewish Joint Distribution Committee

14 Comitato emigrante

14 Comitato emigrante

Roma, 1939. Un’emigrante ebrea e il suo bambino davanti all’ingresso della sede del Comitato di Assistenza per gli ebrei in Italia. Courtesy of the American Jewish Joint Distribution Committee

15 Emigrazione

15 Emigrazione

Porto di Genova, 1939-1940. Due bambini ebrei vengono accompagnati da un collaboratore della Delasem all’imbarco su una nave diretta negli Stati Uniti. "Rinasceva una piccola speranza". L’esilio austriaco in Italia (1938-1945), a cura di Christina Köstner e Klaus...

16 Mensa Kalk Fondz

16 Mensa Kalk Fondz

Milano, Mensa dei bambini, 1941. Dall’ottobre del 1939 fino al settembre del 1943 l’ingegnere Israel Kalk (1904-1980), ebreo di origine lettone sposato con un’italiana non ebrea, realizza una mensa rivolta principalmente a bambini ebrei profughi dalla Germania e...

17 Mensa Kalk CDEC

17 Mensa Kalk CDEC

Milano, Mensa dei bambini. Album con foto e didascalie di Israel Kalk. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

18 Cartoline Mensa (1)

18 Cartoline Mensa (1)

Cartoline della Mensa dei bambini con appelli a donare soldi per i bambini ebrei bisognosi. Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, Milano

19 Delasem schede (2)

19 Delasem schede (2)

Due schede di giovani ebrei stranieri bisognosi. Tale materiale è prodotto per l’Azione speciale bambini della Delasem. Il più giovane è Arnold Weininger, di Lipsia. Dopo la morte del padre nel campo di Sachsenhausen, è inserito in uno degli ultimi trasporti di...

22 ragazzi

22 ragazzi

Ragazzi tedeschi, austriaci e jugoslavi, con accompagnatori e visitatori, davanti a un’ala di Villa Emma. Al centro, il direttore Umberto Jacchia (nato nel 1916). Comune di Nonantola, Archivio storico

23 falegname

23 falegname

Il falegname Hersz Naftali Schuldenfrei, uno degli istruttori di Villa Emma, con quattro piccoli rifugiati: Lea Altaras, Sida Israel, Aron Koen e Benno Goldberg. A destra, Otto Liebling. Comune di Nonantola, Archivio storico

24 Milano

24 Milano

Milano, via Eupili, giugno 1942. Docenti della scuola ebraica nel cortile della stessa scuola. In primo piano, da sinistra, Achille Norsa, Susanna Guggenheim, Alda Perugia, Gustavo Castelbolognesi, Joseph Colombo e, dietro, Hulda Cassuto Campagnano. In seconda fila,...

25 Roma

25 Roma

Roma, anni ’40. Alunni del Liceo Ebraico. Fra gli alunni ci sono Ornella, Olga e Fabio Della Seta, Vittorio Ventura, Leopoldo Dino Cagli, Giuliana Pugliese, Carlo Di Gioacchino. In alto il bidello della scuola Romeo Bondì. Archivio privato Silvana Ajò Cagli, Roma /...

26 Venezia

26 Venezia

Venezia, anno scolastico 1939-1940. Allievi della classe prima media della scuola ebraica al Ponte Storto (S. Maria Formosa) con il preside Augusto Levi (1884-1944), poi deportato ad Auschwitz, e gli insegnanti Renzo Levis, Paola Lombroso e L. Veneziani. Alunni: Guido...

27 Trieste

27 Trieste

Trieste, 1938-1939, scuola media ebraica. Si distinguono gli insegnanti, in piedi: Dino Levi (storia dell’arte), Laura Schreiber (francese), Guido Spiegel (tedesco), Vanda Tedeschi (Lettere e Filosofia), Widnar (Educazione fisica), Rosetta Fano, Nedda Friberti, il...

28 Padova

28 Padova

Padova, 1939 circa. Scuola ebraica istituita in una villetta di via Leopardi. In ultima fila, terzo da sinistra, è il prof. Augusto Levi (1884-1944). Docente di fisica, a lui si deve l’organizzazione delle scuole ebraiche di Padova e Venezia. Verrà deportato ad...

29 Ferrara

29 Ferrara

Ferrara, Pessach 1942. Scuola ebraica di via Vignatagliata. I giovani studenti interpretano "La regina in berlina", una commedia di Sergio Tofano, con la regia di G. Bassani. Da sinistra, Anna Fedora Rossi, Franco Schönheit, Nello Rietti, Miriam Cividalli, Donata...

30 Firenze

30 Firenze

Firenze, aprile 1943. Una classe della scuola ebraica. Archivio privato Paolo Salmon, Firenze

Roma, settembre 1938. Aldo Neppi Modona, in una lettera a sua madre Ada Carpi, esprime il proprio dolore per la promulgazione delle prime leggi antiebraiche.

Certo il dolore è grande, ma non temere, non mi abbatto; mi hai educato a sentimenti virili, e l’animo si mantiene alto e lo spirito sereno. Non mi preoccupa troppo la situazione mutata, l’avvenire incerto, la impossibilità forse di provvedere economicamente alla mia famiglia; non ho, spiritualmente, il tempo di fermare il pensiero su questi lati del problema. La mente si chiede solo: Ma è possibile? Con la fede inalterata nel culto di questa terra che consideravo e considero la mia patria, con la passione sempre nutrita per questa bella Italia, con l’ammirazione per il Regime, che abbiamo sempre avuta, con l’eco delle esclamazioni che ogni mattina, per mezz’ora, fanno in coro i bimbi fingendo di leggere su libri qualunque (ma fra poco impareranno davvero!) “Viva il Re! Viva Mussolini” Viva l’Italia” La bandiera tricolore è la più bella! Viva l’Abissinia italiana!”, coi ricordi di 4 anni di guerra, come è possibile che non sia più ritenuto degno di essere figlio d’Italia? Ma non importa, mi sono detto, siamo soldati come lo eravamo in trincea, e il comandamento è uno solo, “ubbidire”. Come il soldato ubbidisce al Superiore qualunque cosa gli venga comandata, senza commenti, così noi, anche se non afferriamo tutto, dobbiamo ubbidire, mantenere la linea diritta di azione e di devozione, e solo pensare che se così è vuol dire che così deve essere, e tutto accettare quando si tratti del bene d’Italia. Stai tranquilla, Mamma, per il mio stato d’animo.[1]

 

Settembre 1938. Il settimanale “Israel” cerca di dare conforto agli ebrei italiani.

Gli Ebrei d’Italia si trovano di fronte ad una grande prova, la quale richiede il sostegno di tutta la loro millenaria fede. È necessario che essi ripensino alla loro lunga storia ed al modo con cui gli avi, nelle varie età, superarono così innumeri vicende, perché anche questa situazione difficile e grave sia superata con dignità. La discriminazione che è stata decretata nei loro confronti sia accettata dunque senza abbattimento, per quanto dolorosa essa possa essere.

È un dolore grande oggi quello degli Ebrei d’Italia di fronte all’esodo che risospinge per le vie del mondo, per ignote vie incontro alle porte che i popoli, ricche di tante terre, tengono chiuse, ermeticamente chiuse, migliaia di altri ebrei. Tragico destino che dura da tanti secoli ed a cui la civiltà, l’umanità, la carità non sanno metter fine e che non può essere risolto con le logomachie dei Comitati, o con le assemblee dei diplomatici…

Ed è un altro grande dolore quello nostro per la discriminazione con cui si son chiuse le porte delle scuole di qualunque grado a insegnanti ed a studenti ebrei, dai piccoli bambini ancora ignari della vita e delle lettere dell’alfabeto, agli uomini di scienza che all’insegnamento ed alla ricerca di ciò che è vero avevano dedicato tutte le loro energie e forse tutta la loro vita. […]

Ma il senso dell’italianità era ed è in tutti grande e profondo, succhiato non solo alle fonti del cielo e della storia di questa terra, ma col latte della madre, coi canti della culla, colle storie dei nonni e dei babbi, coi ricordi delle gesta degli eroi, colla lingua che si chiama materna ed è la lingua italiana. Grande, tragico dolore è che si possa mettere in dubbio la realtà di questo sentimento, la grandezza di questo affetto; o che si diminuisca la sincerità dello slancio con cui gli Ebrei viventi da secoli in Italia parteciparono, collo spirito e col sangue, come tutti gli altri cittadini, alle vicende di questa terra. […]

Ma la discriminazione pone anche molti problemi che debbono essere risolti con sollecitudine, con sacrificio, con amore. Problemi di bambini… che non possono essere lasciati senza istruzione, senza professione, senza avvenire che quindi hanno bisogno di scuole; queste scuole dovranno essere fornite loro coll’aiuto ed il consenso delle competenti Autorità e dovranno esser di tal natura da dare il pane dello spirito e preparare il pane materiale ai figli. Problemi di uomini che, discesi dalle cattedre, han bisogna di trovare un’attività, un pane, una calma che oggi hanno perduto. La responsabilità di tutti è grande. Non basta soffrire con virilità: bisogna patire insieme, dividere il peso perché non diventi troppo grave, insopportabile e tragico. Dio ci assisterà se noi sapremo assistere gli altri; se i più forti sosterranno i più deboli, se “il tuo fratello povero vivrà con te”, dividendo il tuo pane e dividendo il tuo cuore.[2]

 

12 agosto 1940. L’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane, dopo il ritiro delle licenze ai venditori ambulanti, rivolge un appello alla Direzione Generale di Pubblica Sicurezza.

In questi giorni sono state revocate in tutte le città d’Italia da parte degli organi di P.S. le licenze agli israeliti che esercivano il commercio di venditore ambulante, senza distinzione di sorta e quindi anche ai discriminati.

Nessuna disposizione delle Leggi sulla difesa della razza italiana contempla un tale provvedimento che, se attuato, creerebbe un vasto strato di veri e propri spostati, privi d’improvviso di ogni possibilità di sostentamento per le numerosissime loro famiglie.

Verrebbero così colpiti nella sola Roma circa 900 capi-famiglia del popolino, tutti con moltissimi figli ed altre persone a carico, sicché, in mancanza di ogni possibilità di trovare una via di uscita a questa loro situazione, la disperazione potrebbe spingere parecchi a procacciarsi in modo illecito i mezzi della vita per loro e per i loro congiunti.

L’improvviso ritiro delle licenze ha privato poi i venditori ambulanti della possibilità di smerciare quel poco di mercanzia di cui ancora dispongono e che forma la loro unica esigua sostanza. […]

Ragioni di umanità, di equità e di tranquillità reclamano una pronta soluzione di questa angosciosa situazione che minaccia di gettare sul lastrico centinaia di famiglie poverissime.

Si permette quindi questa Unione, a cui per l’art. 35 del R.D. 30 ottobre 1931, n. 1751, spetta il compito di curare e tutelare gli interessi degli israeliti del Regno, di rivolgere caldo appello al mai smentito spirito di umana comprensione di cod. on. Ministero e di invocare la restituzione delle licenze in parola ai titolari, o, per la meno, di concedere una dilastone fino alla fine di quest’anno per rendere possibile di liquidare il loro magro capitale.[3]

 

Gli sopravvissuti di Auschwitz raccontano la loro reazione alle leggi antiebraiche:

Mamma a Firenze aveva una pensione che nel tempo era cresciuta fino al ‘38, anno nel quale le tolsero la licenza di esercizio. Papà era impiegato alle poste: venne cacciato anche lui per le infami leggi e dovette dedicarsi alle rappresentanze. Una vita molto grigia, molto squallida, molto frustrante. Quando sono arrivate queste leggi, noi siamo rimasti sconvolti dal comportamento dei vicini, quelli che coabitavano nello stesso palazzo, nelle stesse strade. Abbiamo visto la gente che guardava da un’altra parte o che ci guardava come se non esistessimo, guardava traverso. Questa è stata la cosa più sconvolgente, più penalizzante e più inspiegabile. Qualcosa che accade al tuo vicino di casa, della porta accanto, quello con cui hai diviso giorni lieti, tristi, quello con cui hai giocato, quello che hai invitato a casa a mangiare, quello col quale hai fatto una gita fuori. Da un giorno all’altro il buio più completo, il silenzio più totale. Eravamo italianissimi, da parecchie generazioni, e da un giorno all’altro questa italianità è stata calpestata, è stata ignorata e siamo stati trattati peggio che ladri, peggio che criminali. Io ancora non ho una risposta a questa cosa. Io ho cominciato ad avere la coscienza non più di un tredicenne, ma di un ragazzo maturo. E mi domandavo: “Ma cosa farò nella vita io se non posso andare a scuola?” Naturalmente ero terrorizzato all’idea che mi mancasse questa grande risorsa: vedevo un domani senza lettura, un domani impresentabile. Per andare da casa mia alla scuola, passavo ogni giorno davanti alla Biblioteca Nazionale, e la consideravo come l’Olimpo per i sapienti e per il sapere. E quindi sognavo il giorno in cui mi avrebbero consentito di entrare, ma non si realizzò, perché lì fuori misero un bel cartello con scritto in giallo oro: “Vietato l’ingresso agli ebrei”. Comunque, prima del ‘38 mi sentivo a tutti i titoli italiano come gli altri, di religione ebraica; dopo, naturalmente, più ebreo. (Nedo Fiano, Firenze)[4]

 

Io non ho più avuto contatti con i miei amici non ebrei; ma son stato io quello che mi son ritirato, per non dover subire il loro ritiro dalla mia compagnia. Loro forse avrebbero continuato, io ho troncato tutti i rapporti. Eppure non mi consideravo diverso da loro per il fatto che a otto giorni m’hanno tagliato un pezzo del… (Martino Godelli, Fiume)[5]

 

Le leggi razziali hanno fatto sì che ci sentissimo più ebrei di quello che ci sentivamo prima. Ero diventata qualcosa di speciale, perché avevan fatto delle leggi per me… (Elena Kugler, Fiume)[6]

 

Il 26 agosto 1938, Marina Ascarelli di Roma descrive la sua inquietudine causata dell’aumento delle tensioni contro gli ebrei.

Di me non so dirti proprio niente di nuovo: faccio la stessa vita dell’anno passato, ma con uno spirito, però, un po’ diverso. Passo alcune ore senza pensare affatto […] A queste seguono momenti meno buoni in cui mi pare quasi di guardare tutto quello che mi circonda quasi non dovessi più vederla […] E questo dipende dall’essere io passata bruscamente dalla prospettiva di una vita relativamente sicura, alla realtà di oggi.

Infatti in questo momento di squilibrio stento spesso a ritrovare me stessa […] Al periodo di discreta apatia in cui sono vissuta fino a ieri dovrà probabilmente necessariamente seguire un periodo di intensa attività […] Ti dirò appunto che ho deciso  che, anche se tutto resterà pressoché immutato, cercherò con te seriamente il modo onde potermi applicare quotidianamente e proficuamente. Appena torno, se mi sarà possibile, riprenderò le lezioni d’inglese e anche di francese, poi vedrò se sarà il caso di studiare la stenografia o altro. Già da qualche mese in qua passo sovente della ore di grande abbattimento che la situazione attuale non ha fatto che moltiplicare.[7]

 

Mario Tagliacozzo descrive le difficoltà che gli ebrei devono affrontare nella vita quotidiana.

Più volte mi sono domandato come sono riuscito, anzi come siamo riusciti tutti, durante quel tempo a continuare il nostro lavoro e a seguire le nostre abitudini. Sembrava quasi che le nostre persone si fossero sdoppiate, giacche, mentre lavoravamo conducendo la nostra solita vita, in apparenza tranquillamente, nello stesso tempo pensavamo al domani, studiando le possibilità offerteci dai diversi Paesi, intessendo nuove relazioni, pensando ai passaporti ed ai visti, preoccupandoci infine per tutte le tegola di varia natura, che man mano ci cadevano addosso.[8]

 

Giancarlo Sacerdoti, un ebreo bolognese, si ricorda di come è cambiata la vita con le leggi antiebraiche.

Nacque per gli avvocati una nuova industria: l’arianizzazione, cioè lo svolgimento di quelle pratiche per arrivare a dimostrare per esempio che un ebreo puro di sangue era in realtà un ariano essendo figlio illegittimo (di puttana). Era diventata un’industria con pratiche e bustarelle. Io non potei più andare alla scuola pubblica. Mio padre fu cacciato dalla direzione delle Bonifica dopo venti anni di attività spesi per realizzare la bonifica di quelle terre. […] Le alternative che si presentavano per gli ebrei erano le seguenti: emigrare, battezzarsi, avere pazienza, impazzire e battere la testa contro il muro e uccidersi. […] Noi prendemmo la soluzione di armarci di pazienza a resistere, senza però escludere di emigrare. Mio padre mi disse “Per tua sorella sceglierò io. Tu invece devi scegliere da solo. Se non opterai per il battesimo rimarrai con i tuoi a combattere per la sopravvivenza. Mia nonna aggiunse “Se scegli di non rimanere ebreo per paura, non scegliere la religione cattolica ma quella protestante. Sono più liberali: non hanno avuto i gesuiti”. Ma io feci la scelta della dignità: rifiutai di rinnegare i miei legami con il passato e rimasi ebreo.[9]

[1] Lettera pubblicata in Mario Avagliano & Marco Palmieri, Gli ebrei sotto la persecuzione in Italia, Torino, Einaudi, 2011, pp. 37-38.

[2] Nell’ora della prova, Israel, 8.9.1938, p. 1.

[3] Archivio Centrale dello Stato (ACS), MI, Divisione Polizia amministrativa e sociale, Archivio generale, Ex divisione Polizia sez. III, busta 221/2, sfasc. 19.

[4] Marcello Pezzetti, ibidem, pp. 38-39.

[5] Marcello Pezzetti, ibidem, p. 33.

[6] Marcello Pezzetti, ibidem, p. 33.

[7] Gianni Di Nepi, Toccare il fondo, una famiglia di ebrei italiani attraverso due guerre mondiali, a cura di Giulia Piperno, Livorno, Salomone Belforte, 2013, p. 143.

[8] Mario Tagliacozzo, Metà della vita. Ricordi della campagna razziale 1938-1944, Milano, Baldini &Castoldi, 1998, p. 24.

[9] Giancarlo Sacerdoti, Ricordi di un ebreo bolognese. Illusioni e delusioni 1929-1945, a cura di Renzo de Felice, Roma, Bonacci, 1983, pp. 62-63.

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